Marche diWine - di Enzo Torelli - 4
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Marche DIWine…viaggio alla scoperta della Vitivinicoltura Marchigiana.
Si scrive Verdicchio si legge il bianco più premiato
d’Italia!
Parte I
: Il Verdicchio dei Castelli di Jesi.
A cura di Enzo Torelli
Le Marche, terra di Eccellenze…anche nel vino ne abbiamo tante, ma una in particolare svetta nel panorama vitivinicolo Marchigiano,
sua Maestà il Verdicchio!
La storia di questo grande vitigno è molto
antica e negli ultimi decenni ha conosciuto alterne vicende, dalla fama
mondiale grazie alla commercializzazione nella famosa bottiglia a forma di
anfora negli anni ‘50, al calo di popolarità per la bassa qualità della
‘versione economica’ immessa sul mercato da alcuni produttori con pochi scrupoli,
fino alla consacrazione assoluta degli ultimi anni come il vino bianco più
premiato in Italia e con grandi riconoscimenti anche a livello internazionale.
A rendergli il giusto merito tanti bravi
produttori ed enologi che hanno saputo valorizzare al meglio le enormi
potenzialità di questo grande vitigno, regalandoci vini straordinari.
Due grandi areali, Jesi e Matelica, un unico
vitigno con diversi cloni che ha ‘scelto’ proprio questi luoghi per dare il
meglio di se.
Il Verdicchio è risultato geneticamente uguale
al Trebbiano di Soave, detto anche Trebbiano di Lugana, ma nelle Marche si è
acclimatato dando un’identità precisa e ben marcata ad un vino che non a caso
viene definito ‘un rosso vestito di bianco’.
Le prime testimonianze della coltivazione del Verdicchio nelle Marche risalgono a tempi antichissimi. Nel 1642 Padre F.M. Cimarelli, frate di Corinaldo, nelle Istorie dello Stato di Urbino, scrive che : “Alarico, re dei Visigoti, l’anno del parto della Vergine 410, muovendo da questa contrada (Corinaldo) al sacco di Roma et poscia alla terra dei Brutti, seco portasse quaranta some in barili, nulla a se stimando recar sanitade et bellico vigore melio del manzionato Verdicchio.”
Inoltre già ai primi del 1500 lo Spagnolo
Herrera, professore a Salamanca, inserisce il Verdicchio fra le più comuni
varietà di viti e descrivendolo così :
“uva bianca che ha il granello picciolo e
traluce più che niuna altra. Queste viti sono migliori in luoghi alti e non umidi, che
piani e in luoghi grassi, e riposati, perciocché ha la scorsa molto sottile e
tenera, di che avviene che si
marcisce molto presto, et ha il sarmento così tenero che da
per sé per la maggior parte cade tutto e bisogna che al tempo della vendemmia
si raccoglia tutta per terra, e per questa cagione ricerca luogo asciutto e non
ventoso, molto alto nei colli. Il vino di questo vitame è migliore di niuno
altro bianco.
Si conserva per lungo tempo, è molto chiaro, odorifero e
soave. Ma l’uva di esso per mangiare non vale molto”.
A metà ottocento Ubaldo Rosi, intuendone
le straordinarie potenzialità , fece i primi esperimenti di spumantizzazione e
successivamente, nel 1881, il Di Rovasenda classifica il Verdicchio come il più
pregiato fra i vitigni a bacca bianca nelle Marche.
Poco dopo la Fillossera (1890),
distrusse pressochè tutto il vigneto esistente nel Vecchio Continente. Allora i
produttori locali, nel cercare una soluzione, decisero di eliminare molte
varietà clonali presenti nel territorio, scegliendo di impiantarne altre
sconosciute nella zona, meno che il Verdicchio, che già allora risultava il
vino più commercializzato.
Questo vitigno predilige zone
collinari, arieggiate, ampie escursioni termiche, e terreni mediamente
argillosi, che si asciugano lentamente durante la maturazione dell’uva.
Le caratteristiche pedoclimatiche dell’areale della Vallesina, l’influenza del mare, del sole e delle brezze, oltre che del riparo offerto dai vicini Appennini, producono un clima temperato in cui il Verdicchio trova il suo habitat migliore.
La vendemmia generalmente avviene dopo la
metà di settembre nella zona dei Castelli di Jesi, mentre nelle zone più
interne, dove la maturazione è più lenta, viene effettuata fino a fine
settembre.
L’invenzione della bottiglia a forma di
anfora, in riferimento alla civiltà Dorica che diede origine alla città di
Ancona, fece conoscere il Verdicchio nel Mondo.
Nato inizialmente come un vino fresco da bere
giovane, il nome Verdicchio sembrava calzare a pennello per un prodotto facile
da bere, ma con i livelli di eccellenza raggiunti oggi nelle versioni Classico
Superiore e Riserva che danno il meglio di se dopo lunghi affinamenti in
bottiglia, questo appellativo risulta un po’ strettino e poco altisonante per
un grande vino bianco.
Il nome fa comunque riferimento ai riflessi
verdolini presenti osservando il vino nel calice, indice soprattutto di aciditÃ
e quindi freschezza, ma anche di vivacità e fragranza.
Grazie alla sua grande versatilità viene
vinificato con eccellenti risultati anche nella versione Passito, vino che
richiede però un clone di Verdicchio più recente, con un grappolo meno serrato
e compatto di quello tradizionale, caratteristica che nell’appassimento
sfavorirebbe l’asciugamento delle uve a favore invece delle muffe.
Queste ultime però possono dare un’altra
caratteristica unica ai vini prodotti. Infatti in zone in cui condizioni
generali di clima più caldo e asciutto si alternano a condizioni umide,
ritardando la vendemmia, le uve vengono attaccate dalla Botrytis Cinerea, muffa nobile che regala al vino caratteristiche
gusto olfattive uniche e piacevolissime.
Abbiamo poi la versione Spumante, in cui il
metodo classico raggiunge picchi di eccellenza e vanta una tradizione più che
centenaria.
Parlavamo infatti prima di Ubaldo Rosi e dei
suoi primi esperimenti di spumantizzazione, ma prima ancora, nel 1622, il
medico Fabrianese Francesco Scacchi, anticipando di cinquanta anni il monaco
francese Dom Perignon, già parlava di un metodo di spumantizzazione con
rifermentazione in bottiglia, che poi prese il suo nome. Quindi possiamo attribuire
alle Marche anche questo primato.
Vino dai grandi e complessi profumi, Il
Verdicchio si distingue anche per la struttura e il corpo che lo
caratterizzano.
Apre con un bouquet di fiori bianchi, poi
frutti quali la mela, la pera e piacevoli note agrumate.
In bocca è sapido, fresco, ma allo stesso
tempo morbido e caldo, con un finale amarognolo che ricorda la mandorla verde
come caratteristica impronta varietale.
Il tutto si traduce in una beva
generosissima, infatti la sua piacevolezza ed il suo equilibrio fanno si che si
ha sempre voglia di berne un altro bicchiere.
Gli appassionati di questo grande vino riescono
a cogliere le differenze fra quelli prodotti nella sponda destra e sinistra del
fiume Esino, infatti le diverse tipologie di terreno conferiscono alle uve di
Verdicchio e quindi ai suoi vini, differenti caratteristiche organolettiche.
Più freschi nella sponda sinistra, nella zona
di Montecarotto, più minerali e sapidi nella sponda destra, nella zona di
Cupramontana e Staffolo, fino a Cingoli.
In ogni caso parliamo di vini di qualitÃ
assoluta e indissolubilmente legati al territorio, non è un caso se le uve di
Verdicchio impiantate in zone al di fuori della Vallesina e della sinclinale
Camerte, non hanno dato gli stessi straordinari risultati.
Possiamo quindi definire a buon titolo il
Verdicchio come un fiore all’occhiello della produzione enologica regionale e
la sua fama è destinata sicuramente a crescere ancora.
Un’altra perla dunque fra le tante eccellenze
delle Marche ed anche un altro buon motivo per venire a visitarle, un vino che
già da solo vale un viaggio, parola di Sommelier!
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